SIATE SOBRI (“Sì sì, mo me lo segno proprio!”)
Nelle ore successive alla scomparsa di papa Jorge Mario Bergoglio, su diretta proposta della, pardon, del presidente del consiglio dei ministri Giorgia Meloni, il governo decretava cinque giorni di lutto nazionale, dal 22 al 26 aprile.
Questa scelta - per ricordare e onorare la figura di un papa che proprio a destra aveva incontrato diversi detrattori durante il suo pontificato - suona inusuale per la durata, considerando che analogamente, nel caso più prossimo della morte di papa Wojtyła, i giorni di lutto nazionale furono tre.
Sembrerebbe che il governo si sia appositamente mosso affinché il 25 Aprile vi fosse incluso, nella speranza di dare un tono più dimesso alle manifestazioni che si terranno numerose in occasione dell'ottantesimo anniversario della Liberazione d’Italia dal nazifascismo.
Non c'è bisogno di scomodare Freud ma questa scelta rende esplicito come gli eredi di Almirante e Romualdi continuino ad approcciarsi a questo evento storico; quella che per loro rappresenta una sconfitta tuttora viene vissuta (ironicamente appunto) come un lutto e come tale essa dovrebbe essere elaborata, seguendo le ben note cinque fasi teorizzate dalla psicologa svizzera Kübler Ross: negazione, rabbia, negoziazione, depressione e infine accettazione.
Non ce ne vogliano i camerati, ma dal tenore dei numerosi interventi a mezzo stampa di molti loro esponenti sul portato della guerra civile partigiana viene il sospetto che siano ancora fermi alla prima fase: quella della negazione.
Prima ci si è messo il presidente della regione Piemonte Alberto Cirio che senza sprezzo del ridicolo si faceva filmare con indosso la divisa dell'Armir (Armata italiana in Russia) rilasciando una dichiarazione (https://www.instagram.com/p/DId50xpMArj/) che capovolgeva il senso ultimo di quella sciagurata pagina della storia d'Italia. A detta sua gli alpini che furono inviati criminalmente del tutto impreparati in Russia morirono per la nostra libertà. Si tratta di un autentico oltraggio alla verità storica anche e soprattutto per i pochi sopravvissuti a quella sciagurata impresa, molti dei quali spesero il resto della loro vita a spiegare che fu una una guerra di aggressione, un massacro evitabile, una tragedia senza senso, ascrivibile al delirio di onnipotenza del governo fascista e all’alleanza criminale con i nazisti.
Gioverebbe ricordare al presidente Cirio che gli Alpini che davvero combatterono per la libertà furono quelli che dopo l'armistizio dell’8 settembre 1943 si unirono alla Resistenza, tra le file delle Brigate Partigiane.
A far da eco a queste dichiarazioni ci ha pensato il ministro Musumeci, auspicando che le manifestazioni in occasione dell'ottantesimo anniversario della liberazione fossero sobrie, un chiaro invito alla mitezza e alla temperanza, come se di solito le manifestazioni del 25 aprile fossero state connotate da atteggiamenti eccessivi, è una festa che si è sempre contraddistinta da una forte responsabilità civile, tali da rendere inutili questi strumentali inviti alla sobrietà.
D'altronde il Musumeci pubblicista aveva già dato sufficientemente prova di cosa pensasse di quella fase storica; nel testo "La Sicilia bombardata" (Rubettino, 2023) (che tratta dello sbarco degli alleati in Sicilia) si possono leggere delle frasi che non hanno bisogno di ulteriori commenti:
"L'avanzata alleata incontrerà coraggiose ed eroiche resistenze da parte dell'asse"
Il ministro, in sintesi, vive la Liberazione da parte delle truppe alleate come un'invasione, si rammarica quasi che non siano stati i nazifascisti a trionfare.
Il sottomessaggio è comunque chiaro e lampante: si invita a tenere un profilo basso nelle manifestazioni in modo che il governo si possa esimere, in parte o del tutto, a parteciparvi. È un modo meschino, una scusa ben congeniata per evitare di celebrare una ricorrenza che non si sente propria, che procura malumori a una destra italiana del tutta contigua all'ultima fase dell'epopea mussolinina: quella repubblichina.
Purtroppo la sortita del governo ha raggiunto qualche risultato: sindaci e amministrazioni locali hanno utilizzato il pretesto per censurare la commemorazione. L’amministrazione di Genazzano ha vietato il corteo, a Cinisello Balsamo il Comune ha deciso di cancellare i comizi, vietare le bandiere e non far intervenire le associazioni partigiane, a Romano di Lombardia è stato emesso addirittura il grottesco divieto di cantare Bella ciao. La Regione Lombardia stessa non ha programmato alcun momento di celebrazione.
Non cederemo alla volontà di chi cerca di far dimenticare la storia!
Non saremo sobri. Saremo rumorosi, determinati, presenti. Perché la Resistenza è stata, è, e sarà sempre un fatto rivoluzionario. Un grido di libertà che oggi risuona contro le guerre, contro la repressione, contro lo sfruttamento, contro l’Europa dei padroni.
Scendiamo in piazza a rendere onore alla Resistenza e a lottare per quello che la maggior parte dei partigiani voleva: giustizia sociale, uguaglianza, diritti sociali, fratellanza tra i popoli e pace!
Appuntamento dalle ore 10 a Cosenza per il corteo da P.zza Kennedy.