Per un SSN equo e completamente pubblico: no alle gabbie salariali di Roberto Calderoli - Comunicato Congiunto FC Calabria - Collettivo Stipaturi
Qualche giorno fa il Ministro per gli affari regionali Roberto Calderoli ha dichiarato che sottoporrà a Lombardia, Veneto, Liguria e Piemonte un’intesa di autonomia che potrebbe già essere sottoscritta nel mese di settembre. Con questa intesa, le regioni – trattenendo parte delle entrate locali, che così saranno sottratte alle risorse disponibili per le regioni più svantaggiate – potrebbero indirizzare i fondi anche per aumentare gli stipendi di medici e infermieri e fare, così, “concorrenza” alle aree in cui è già difficile reperire del personale sanitario.
Noi chiamiamo questo sistema con il suo vero nome: gabbie salariali. Le gabbie salariali erano un metodo di calcolo dei salari, che è stato in vigore in Italia tra il 1954 e il 1969, che metteva in relazione le retribuzioni con determinati parametri quali, ad esempio, il costo della vita in un determinato luogo. Dare retribuzioni più alte nelle regioni con costo della vita più alto (come quelle settentrionali) significa, tuttavia, non considerare gli enormi ostacoli che un’area geografica svantaggiata come quella meridionale possiede (come l’assenza, appunto, di servizi) e che rendono necessario l’utilizzo di spese aggiuntive da parte delle famiglie. Per questo, a seguito della stagione di lotte operaie degli anni Sessanta, le gabbie salariali furono abolite, anche in nome di una solidarietà di classe che rifiutava qualsiasi competizione tra i lavoratori. Oggi, con l’assenza di questo tipo di solidarietà, con l’assenza di un forte partito che porti avanti gli interessi dei lavoratori e dei ceti popolari, queste gabbie salariali rappresenteranno l’ennesimo fattore di smantellamento del Servizio sanitario in regioni come Calabria, Basilicata, Puglia e Campania, che già faticano a reperire operatori sanitari disponibili con i concorsi pubblici.
E non si tratta solo di una questione di competizione tra le regioni: quello che verrebbe favorito dall’autonomia differenziata in generale (l’orizzonte verso il quale si dirigono accordi come questo) sarebbe la capacità dei privati di stringere legami e fare pressioni e ricatti sugli amministratori pubblici locali, dotati di meno mezzi rispetto allo Stato centrale per resistere a tali pressioni (e con più vicinanza “personale” alla grande e piccola imprenditoria sanitaria locale, il che favorirebbe varie forme di collusione). Un esempio paradigmatico di come la maggiore disponibilità di fondi sul piano locale sta venendo utilizzata dalle regioni non per ammodernare il servizio pubblico ma per offrire vantaggi al privato è offerto proprio dalla Lombardia di Roberto Calderoli, la regione più ricca d’Italia. La Lombardia è la regione nella quale è massima la concentrazione delle maggiori aziende che fanno business con la salute (San Donato, Humanitas, Gruppo Villa Maria, Kos, IEO, Maugeri, Gruppo GHC, Giomi Fingemi, Servisan, Multimedica), alcune ormai trasformatisi in multinazionali, ed è all’avanguardia del processo di privatizzazione del settore, avendo inserito nella nuova legge regionale la possibilità che le Case di Comunità siano affidate al privato.
È politicamente importante ricordare, in ogni caso, che non si tratta di un percorso promosso soltanto dall’attuale governo: il centrosinistra è quello che ha posto le condizioni affinché tutto questo accadesse, con la riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001. Senza contare che il PD ha avuto tra i suoi esponenti dei politici che hanno esplicitamente invocato le “gabbie salariali” per fare “crescere il Sud”, per esempio il milanese Giuseppe Sala.
Il Fronte Comunista e il Colletivo Stipaturi, in contrasto col governo e la falsa opposizione, rivendicano senza giri di parole la costruzione di un Servizio sanitario pubblico che sia nazionale e non più regionale, con una distribuzione equa di risorse tra le regioni, che sia di qualità e ben finanziato, con il recupero di tutte le professionalità e i posti letto tagliati negli ultimi dieci anni; l’abolizione del debito ingiusto e classista delle regioni commissariate come la Calabria; l’abolizione dei ticket sanitari e di ogni forma di tassazione analoga che grava sui pazienti e, soprattutto, l’internalizzazione dell’intera medicina privata, incompatibile con una sanità pubblica funzionante, nel Servizio sanitario pubblico.