La repressione del dissenso e gli interessi economici dell'Italia nella questione Israelo-Palestinese

 

Le immagini delle manganellate ai danni degli studenti di Pisa durante la manifestazione pro Pαlεstιnα di venerdì scorso sono sotto gli occhi di tutti e se per tanti, troppi, quei colpi hanno avuto una funzione pedagogica, per noi non è così.

Siamo sdegnati (ma non meravigliati) dalla veemenza con cui i poliziotti, uomini adulti, si sono scagliati contro un gruppo di studenti adolescenti inermi, chiaro sintomo di una crescente sensazione di legittimità da parte delle stesse forze dell'ordine a reprimere con violenza qualsiasi tentativo da parte delle forze di classe (studenti, lavoratori, disoccupati) di alzare la testa per i propri diritti e contro sfruttamento, guerra, repressione e omologazione culturale. 


Tralasciando le possibili diagnosi che Freud avrebbe elaborato dall'uso smodato dei manganelli e dalla lettura dei commenti di coloro che hanno provato un certo godimento davanti a quelle immagini di inaudita violenza, ciò che ci interessa è denunciare con forza questa reazione spropositata che non trova una giustificazione nelle scuse blaterate dal ministro Piantedosi, secondo cui gli studenti abbiano forzato il blocco delle forze di polizia venendo volutamente a contatto con i reparti mobili; stiamo parlando dello stesso Piantedosi che ha dichiarato che vietare la “commemorazione” di Acca Larentia sarebbe stato controproducente.
Perfino l'equilibrato equilibrista presidente Mattarella ha definito quelle manganellate un'espressione di fallimento!

Perché si cerca di ostacolare le manifestazioni a sostegno del popolo Pαlεstιnεsε?
Perché dopo lo “stop al genocidio” invocato da Ghali dal palco di Sanremo, l'amministratore delegato Rai Roberto Sergio si è affrettato a scrivere e diramare in diretta nazionale un comunicato tramite una sua inserviente in cui sottolineava la solidarietà sentita e convinta a Isrαεlε e alla Comunità Ebraica?
Perché ogni voce che si alza a favore dell’autodeterminazione del popolo Pαlεstιnεsε viene derubricata ad antisemitismo?



Il sostegno dell'Italia a Isrαεlε viene apparentemente motivato dal fatto che questo rappresenti l'unico baluardo di democrazia del Medio Oriente, baluardo in cui, però, il dissenso viene represso con la forza, in cui esistono cittadini di serie A (Isrαεliαni) e serie B (arabo-Isrαεliαni), in cui al governo ci sono formazioni xenofobe, ultra-nazionaliste e ortodosse e che continua a portare avanti pratiche di detenzione brutali nei confronti dei palestinesi, a perpetrare il progetto di colonizzazione della Cisgiordania e che dal 7 ottobre a oggi ha raso al suolo l’intera striscia di Gaza provocando 30.000 morti e 60.000 feriti. Tutto questo senza dimenticare che lo scorso 26 gennaio la Corte Internazionale di Giustizia dell'Aia ha dichiarato plausibile l'accusa di genocidio a Gaza nei confronti di Isrαεlε e che, come se non bastasse, sempre Isrαεlε non ha rispettato l'ordine della Corte Internazionale di Giustizia dell'ONU di fornire aiuto alla popolazione della Striscia di Gαzα procedendo, anzi, con un ulteriore blocco degli aiuti.
Insomma, il concetto di democrazia applicato a questo scenario ci appare quantomeno inadeguato.

Affermiamo, dunque, in maniera chiara che la reale natura dei rapporti che legano l’Italia e Isrαεlε sono di tipo economico. Si noti, infatti, come l’Italia intervenga non a difesa degli interessi Isrαεliαni ma dei propri – cosa che dai media nostrani viene completamente ribaltata per nascondere gli interessi imperialistici di grossi settori dell’industria italiana.

I dati non mentono:

Il presidente della Camera di commercio Italia-Isrαεlε Benatoff definisce come molto buone le relazioni commerciali tra i due stati.
Secondo i dati dell'Osservatorio Economico nel 2023 si è registrata una leggera flessione (2%) dell'export italiano verso Isrαεlε ma rimane una flessione inferiore a quella che si è registrata con altri paesi, con esportazioni italiane pari a circa 3 miliardi.


Meno chiara è la situazione riguardante l’industria bellica italiana.
L’Italia, infatti, è uno dei principali partner dello stato d’Isrαεlε e contrariamente a quanto affermato dal governo Meloni, che ha assicurato il blocco dell'export di armi e munizioni dopo il 7 ottobre 2023, dalle statistiche del commercio estero elaborate da Istat risulta che negli ultimi mesi del 2023 sono state esportate armi e munizioni verso Tel-Aviv per poco meno di un milione di euro su cui però il governo si rifiuta di fare chiarezza in barba al principio della trasparenza amministrativa.
Inoltre, nei sottocapitoli dell'Istat sono stati oscurati i dati – cosa che fa molto riflettere - che riguardano le armi ad uso militare e i dati complessivi non ricomprendono eventuali altri materiali per uso militare come elementi per aerei e mezzi terrestri.
Non dimentichiamoci che i cannoni utilizzati dalla marina Israeliana per bombardare Gαzα sono della Oto-Melara (controllata Leonardo e quindi dallo stato italiano) e che i piloti dei bombardieri Isrαεliαni sono addestrati grazie alla partneship militare con l'Italia e allo scambio di tecnologie.

La guerra permette alle grandi imprese dell’industria bellica di aumentare i profitti in modo esponenziale, non solo grazie alle esportazioni ma anche grazie all’aumento delle spese militari interne, gli utili di aziende di stato come la Leonardo sono aumentati del 59%, di Alenia (controllata Finmeccnica) + 14% ma anche altre aziende come Iveco Difesa hanno avuto incrementi del 13% o Beretta Holding del 6%; tutto questo ricade, con un carovita sempre più crescente, sulle spalle dei lavoratori e delle famiglie italiane a causa di un’inflazione del +8%.

Dunque da una parte abbiamo gli interessi delle grandi industrie gestite da pochi uomini che grazie alla potenza economica di cui dispongono influenzano i governi muovendoli come pedine (che chiameremo imperialismo), dall’altra interi popoli massacrati e sacrificati sull’altare del profitto, famiglie vessate dal carovita, lavoratori sfruttati, proteste di piazza represse nel sangue e un’informazione di regime che confonde e mistifica la realtà dei fatti.

Lottare contro l’imperialismo significa lottare contro coloro che ci sfruttano, ci affamano e che traggono profitto dal massacro dei popoli.

Lottare contro questo sistema economico marcio e corrotto riguarda tutti noi, è una questione politica (e di classe direbbe Marx), è una questione ormai non più rimandabile, ne va del nostro futuro.