5 operai morti a Casteldaccia - Ancora morti sul lavoro, adesso basta!

    È di poche ora fa la notizia dell'ennesima tragedia sul lavoro che, dopo la strage di operai della diga sul lago di Suviana del mese scorso e quella di Brandizzo di settembre 2023 , colpisce - oggi - Casteldaccia (PA) dove cinque lavoratori sono morti dopo essere rimasti intrappolati nei cunicoli dell’impianto di sollevamento delle acque reflue dell’Azienda municipale acquedotti (Amap). Gli operai lavoravano per una ditta appaltatrice esterna. Comincerà ora il solito balletto delle autorità, dei media e dei rappresentanti delle aziende che definiranno l'accaduto una fatalità, anzi, un incidente! Riteniamo sia profondamente sbagliato dire che si è trattato dell'ennesimo incidente poiché con questo termine si è soliti indicare un qualcosa che succede quando i soggetti coinvolti non hanno valutato tutte le possibili situazioni che si sarebbero potute verificare o, peggio, che pur sapendo a cosa potevano andare incontro hanno comunque agito in modo imprudente. È un'espr

La raccolta rifiuti in Calabria: disagio per i cittadini, clientelismo e sfruttamento degli operatori ecologici

Riportiamo qui di seguito un'estratto di un interessante articolo pubblicato su L'Ordine Nuovo riguardante le discariche calabresi:

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La gestione della raccolta rifiuti nella Regione Calabria è emblematica del disagio a carico di lavoratori (gli operatori ecologici) e popolazione locale creato da diversi fattori quali i conflitti di interesse della politica locale con i gestori privati, la negligenza generale degli amministratori in tema di tutela ecologica del territorio e lo sfruttamento perpetrato dalle aziende di smaltimento nei confronti dei dipendenti.


Il quadro generale della gestione dei rifiuti riflette il classico meccanismo di scarica barile fra le diverse strutture istituzionali.

All’inizio del 2019 la convenzione fra le Comunità d’Ambito Territoriale Ottimale (ATO) dei comuni calabresi (comunità responsabili, in teoria, della gestione del ciclo rifiuti) e la Regione aveva stabilito che i comuni potevano ancora delegare alla Regione Calabria le funzioni amministrative relative alla gestione del servizio di trattamento. La delega non avrebbe potuto protrarsi, però, oltre il 31 dicembre 2019. La scadenza del termine e l’impreparazione degli ATO regionali (con molti comuni richiamati dalla Regione per inadempienza riguardo i pagamenti relativi al servizio delegato e alla implementazione del piano regionale rifiuti del 2016) hanno reso insostenibile la già precaria situazione concernente la raccolta. L’ATO di Cosenza per questi motivi è oggi commissariato.

Va ricordato, infatti, come recita la stessa convenzione firmata lo scorso anno, che «il sistema impiantistico regionale pubblico di trattamento/smaltimento RU (Rifiuti Urbani, nda), ereditato dal Commissario Delegato per la gestione dell’emergenza nel settore dei rifiuti urbani in Calabria, è risultato sin da subito inidoneo a trattare la totalità dei rifiuti prodotti dai comuni calabresi; tale inidoneità accomuna tutti gli ATO, tant’è vero che la Regione Calabria ha dovuto fare ricorso all’uso di impianti privati per la gestione degli RSU (Rifiuti Solidi Urbani, nda) e della FORD (Frazione Organica da Raccolta Differenziata, nda), nonché alla successiva emanazione di più ordinanze presidenziali per consentire il funzionamento degli impianti pubblici sprovvisti di AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale, è il provvedimento che autorizza l’esercizio di un impianto trattamento rifiuti, nda)».


Le radici di queste condizioni endemiche sono da ricercarsi nella mancanza di una pianificazione centrale volta alla costruzione di impianti totalmente pubblici finalizzati al riciclo dei rifiuti, mancanza connessa alla necessità della politica locale di non inimicarsi i piccoli centri di potere imprenditoriale privato responsabile della gestione attuale della raccolta e dello smaltimento rifiuti (oltre che delle discariche, sempre in odor di ‘ndrangheta).

Non è una sorpresa, dunque, trovare periodicamente mucchi di rifiuti accatastati in centri come Reggio Calabria o Cosenza o passare attraverso periodi emergenziali che si susseguono ormai da decenni.
Per quanto riguarda la provincia di Vibo Valentia, unica in Calabria a non avere affatto impianti, i sindaci a inizio gennaio hanno delegato la presidente dell’ATO, Maria Limardo, sindaco di Vibo, a stipulare una convenzione con l’impresa Ecocall per la continuazione, per altri due mesi, del servizio, al costo di 140 euro a tonnellata per l’umido, in attesa che venga fatto un bando per l’affidamento. In questi mesi si sono, dunque, elaborati bandi per dare in appalto la raccolta rifiuti, in gestione ora all’ATO. In generale, gli impianti presenti nella provincia di Catanzaro ai quali si sta facendo riferimento sono obsoleti e danno la priorità ai rifiuti provenienti dalle zone interne alla provincia prima di lavorare quelli provenienti da Vibo Valentia. I rifiuti del vibonese oggi passano tutti da Lamezia Terme, dagli impianti di trattamento ex Ameco, e ciò che resta va in discarica, mentre i termovalorizzatori non sono previsti dalla legge regionale. Inoltre i comuni della provincia tirrenica continuano a dimostrarsi morosi nei confronti dell’ATO di Catanzaro, dalla quale dipendono per i motivi accennati. 
 

Nonostante pare sia in fieri uno studio di fattibilità per la realizzazione a S. Onofrio di un nuovo impianto di trattamento, la Calabria presenta una situazione arretrata per quanto riguarda la gestione dei rifiuti. Una situazione che, oltre che dai fattori già accennati, dipende anche dai noti vincoli di spesa che gravano sugli enti locali, i quali trasferiscono questi disagi alle ditte di raccolta e smaltimento che li scaricano direttamente sui dipendenti.

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La necessità della creazione di una ditta totalmente pubblica e centralizzata, controllata dalla classe lavoratrice, viene resa evidente non solo dai meccanismi clientelari di assunzione che vigono a maggior ragione nelle aziende private (connesse senza alcun controllo al politico di riferimento) o dall’inefficienza di realtà che lucrano sul ribasso dei costi, ma anche dal tema delicato delle proteste e degli scioperi all’interno di quello che è un servizio essenziale.

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Il quadro appena descritto non sembra avviarsi ad una rapida conclusione. Le ultime dichiarazioni da parte dell’amministrazione regionale calabrese e della presidente Santelli consistono nei soliti annunci e in soluzioni temporanee e forse dannose.
Sergio De Caprio, conosciuto come Capitano Ultimo, attuale assessore all’Ambiente della Regione Calabria, ha riportato a inizio luglio di star lavorando per adottare provvedimenti urgenti, efficaci, che consentano di liberare le strade dal pattume e di presentare un piano di gestione rifiuti e di impiantistica definitivo. Nell’ultimo provvedimento della Regione, con il quale la governatrice intende superare la gestione degli ATO provinciali, si vuole inoltre predisporre il trasferimento dei rifiuti relativi agli scarti di lavorazione in impianti extraregionali “in via d’urgenza e per un periodo non superiore a 90 giorni”.

Un ennesimo cambiamento di modello che sarà un cambiamento solo apparente se non si decide politicamente di pianificare una filiera ecologica completa della raccolta rifiuti, dallo spazzamento al porta a porta fino al riciclo, che sia totalmente gestita e controllata dal settore pubblico in maniera trasparente e che renda parte del passato l’aziendalismo clientelistico dell’affidamento ai privati. 

https://www.lordinenuovo.it/2020/08/27/la-raccolta-rifiuti-in-calabria-disagio-per-i-cittadini-clientelismo-e-sfruttamento-degli-operatori-ecologici/