La Calabria, prima della conquista dell'Italia da parte di Napoleone e dell'introduzione del sistema elettorale francese (sostanzialmente quello attuale è una variazione di quello partorito sotto la rivoluzione e poi diffuso da Bonaparte, e mai cancellato, e questo dovrebbe far pensare sulla capacità di tale sistema di mantenere il potere nelle mani dei soliti noti), aveva un suo sistema elettorale basato sul sorteggio e su elezioni annuali.
Di questo genere di elezioni sono venuto a sapere leggendo lo splendido libro
Controstoria delle Calabrie di
Ulderico Nisticò, che ha proposto nella sezione dedicata alla politica calabrese sia il testo originale in latino sia una traduzione in italiano di uno
Statuto di Catanzaro pre-napoleonico.
La città era sostanzialmente suddivisa in due
caste o
classi sociali, i
gentiluomini e onorati cittadini e il
popolo: in pratica nobili e borghesi da una parte e contadini e operai dall'altra. Il totale degli eletti per la gestione del comune era 40, di cui 10 tra i
gentiluomini e i restanti 30 tra il
popolo, probabilmente per tener conto del maggior numero di questi ultimi rispetto ai primi. Le elezioni avvenivano in questo modo:
(...) i gentiluomini e onorati cittadini nominino dei loro gentiluomini e onorati cittadini e quelli del popolo nominino dei loro del popolo, nominando ciascheduno della parrocchia sua, sì che ciascheduno degli assistenti o intervenuti in detto consiglio generale scriva o faccia scrivere in una scheda il nome di quello che vuole eleggere o nominare: le quali schede si mettano in due urne o berrette, cioè separate quelli dei gentiluomini e onorati cittadini in una e quelle del popolo in un'altra e si estraggano ad opera di un fanciullo dieci schede ad una ad una dall'urna o berretta dove sono poste le schede dei gentiluomini e onorati cittadini e si scrivano ad opera del notaio ordinato della città pubblicandoli ad alta voce e così dall'urna dove sonno poste le schede dei nomi dei popolani si estraggano ad opera del detto fanciullo 30 schede ad una ad una e si scrivano come sopra e si pubblichino ad alta voce e quelli che saranno nominati e scritti in dette schede estratti come sopra siano li 40 eletti per quell'anno e così si osservi ogni anno futuro; (...)
Come già scritto, questi 40 rappresentati vanno rinnovati ogni anno:
(...) detti quaranta eletti ogni anno abbiano a mutare e eleggere diversi per modo che chi sarà di detti eletti per un anno non lo possa essere l'anno seguente.
L'idea, ovviamente, era quella di non creare la professione dei politici e degli amministratori, come invece poi lo fu con il sistema francese. Saranno poi i 40 a decidere i
due sindaci e le altre varie cariche (che non perdo tempo a elencare): in questo caso, probabilmente per ovviare al maggiore analfabetismo del popolo, le cariche andavano soprattutto ai
gentiluomini.
Ennesima dimostrazione che la Calabria è stata terra avanzata culturalmente e politicamente e in generale civilissima: sposando la tesi di Nisticò nel suo bel libro, dovremmo solo imparare da quella tradizione, che funzionava e non c'è motivo di pensare che non possa funzionare ancora oggi (personalmente credo che possa essere efficace anche in tutta la penisola, comunque...).
Tra l'altro, lo stesso Nisticò, avanza anche una proposta molto interessante, in questi tempi di abolizione di provincie. Scrive infatti:
Io lascerei solo alcuni grandi comprensori, con territori omogenei per geografia e vocazione, e da cinquanta a centomila abitanti ciascuno: Reggio, Locri, Soverato, Catanzaro, Sersale, Crotone, Cirò Marina, Rossano, Castrovillari, Scalea, Cosenza, Paola, Lamezia T., Vibo V., Serra S. Bruno, Tropea, Palmi... All'interno dei quali i Comuni di ora verrebbero di fatto aboliti. Una bella rivoluzione, mandare in un colpo solo a casa trecento e più sindaci di tutti i partiti con relativi apparati!
La proposta può sembrare semplicistica, ma in effetti potrebbe essere il giusto compromesso tra la soppressione delle provincie e dei piccoli comuni, una sorta di maxi comuni o di mini provincie che rendono inutili l'esistenza degli attuali comuni, con una reale semplificazione del sistema politico regionale e nazionale, perché è ovvio che una rivoluzione di questo genere può essere fatta solo se accolta anche dalla politica nazionale.