Malasanità, a falerna un uomo muore davanti la guardia medica chiusa. BASTA TAGLI! BASTA MORTI!

A Falerna un uomo è morto davanti alla porta chiusa della guardia medica presso cui si era recato accusando un malore. Non siamo di fronte a un caso isolato, ma alla fotografia cruda, impietosa, disturbante delle condizioni della sanità calabrese.  Una sanità che regge sulle spalle tremanti di quei pochi logori nosocomi rimasti aperti e sui pochi medici che ancora non sono fuggiti da questa terra desolata e preda, ormai, dei più biechi interessi padronali e privatistici a spese della vita dei cittadini i quali, troppo spesso, si vedono costretti ad abbandonare questi luoghi non soltanto con la speranza di rifarsi una vita altrove ma soprattutto per curarsi e per non morire di malasanità. Molti dei politici locali che oggi si profondono in vuoti appelli sono gli stessi che negli anni hanno contribuito a declassare, mortificare e distruggere il servizio sanitario nella regione.  Distruggere il pubblico per favorire il privato è una volontà chiara ormai da tempo.  I governi ...

La fabbrica degli eroi.


"Felice quel paese che non ha bisogno di eroi", questa era la frase che più di altre esprimeva lo stato d'animo di tanta parte della sinistra istituzionale quando, negli anni del dopoguerra, era alle prese con celebrazioni di stampo militare, inaugurazione di monumenti ai caduti, ecc.
Era sottinteso con essa il rifiuto della retorica militarista che sulla figura eroica, il gesto eroico, è sempre riuscita a coinvolgere buona parte degli entusiasmi giovanili per spingerli al massacro, sull'onda di quel "dolce et decorum est pro patria mori" che è sempre stato il motivetto che ha affiancato lo sventolio delle bandiere nell'accompagnare a destinazione le casse da morto.
Non aver bisogno di eroi era ed è un'affermazione di umanità contro la mostruosità della guerra.
Oggi è evidentemente diverso per chi ha occupato gli scranni del governo.
"Eroe" è stato infatti definito da Prodi, il maresciallo Paladini morto in Afganistan, subito imitato dalla retorica de l'Unità, del TG3, tanto per restare in ambito governativo "di sinistra" e paradossalmente sconfessato da quell'ufficiale comandante che da Piacenza, sede del reggimento del genio pontieri al quale apparteneva il Paladini, ha affermato ad un telegiornale che il maresciallo è morto da soldato, non da eroe, perché il morire fa parte del rischio di chi veste una divisa.
In sostanza Paladini è un morto sul "lavoro". Un "lavoro" particolare, nell'ambito di una coalizione che occupa un paese e che distribuisce morti, prevalentemente civili, a destra e a manca, ma pur sempre un "lavoro", il famoso "mestiere delle armi" grazie al quale lo Stato si garantisce il monopolio della violenza all'interno e, tendenzialmente, all'esterno. Perché allora definirlo "eroe"? forse che si definiscono eroi le migliaia di morti annue sul lavoro, quello vero, quello che pur sottoposto al dominio del capitale, crea beni e servizi? O forse è stata la morte, causata da una bomba umana, a trasformarlo in eroe? Ma se così fosse perché non si sono definiti eroi le vittime della strage di Stato di piazza Fontana, dell'Italicus, di piazza della Loggia, della stazione di Bologna, ecc?
Se si hanno bisogno di eroi vuol dire che, a fronte delle crescenti difficoltà a giustificare la guerra di occupazione dell'Afganistan, si rispolvera la solita, stantia, retorica militarista per rilanciare quell'union sacré tipica di tutti i regimi.
Con la finanziaria si sono già aumentate le spese militari, grazie all'accordo di tutti i partiti della maggioranza, ora si costruiscono eroi. A quando il rullare dei tamburi?

Da "Umanità nova" n°39 del 2 dicembre 2007.