Australian 'ndrangheta

Sono 4 i documenti con cui Australian 'ndrangheta è stato assemblato: un saggio di Vincenzo Macrì sulla presenza della 'ndrine in Australia, un secondo testo di Enzo Ciconte sui codici utilizzati dalle cosche calabresi e la relazione di Nicola Calipari sulla sua missione in Australia, costituita dal testo redatto alla fine delle sue indagini e dai codici ritrovati da quest'ultimo in loco legati ai riti di affiliazione alle 'ndrine.
Calipari era nato a Reggio Calabria, aveva lavorato a lungo a Cosenza e dunque conosceva bene la mafia calabrese e la sua straordinaria capacita di diffusione in Italia e nel mondo. Gli era noto, per esempio, che in Canada e Stati Uniti era presente da tempo un insediamento di ndrangheta.
- Vincenzo Macrì
Calipari era dunque il più indicato per affiancare, insieme con Giuseppe Fedele, le autorità australiane che, preso atto della presenza mafiosa sul loro territorio, avevano deciso di affrontare decisamente il problema con la fondazione della National Crime Authority.
Emerge un quadro complesso dove la presenza della 'ndrangheta sul territorio australiano è la più forte e importante, a fronte di una comunità calabrese percentualmente sotto la media rispetto alle altre comunità italiane.
Peraltro il contrasto fornito dalle autorità australiane risulta lento e insufficiente, limitato inoltre dal pregiudizio culturale legato all'errato concetto che siciliani e calabresi sono tutti in qualche modo mafiosi. Tale errore è stato solo parzialmente arginato da Calipari nel corso della sua missione, visto e considerato che fino ai primi anni del XXI secolo le autorità australiane hanno commesso errori giudiziari non molto diversi da quelli del caso Sacco e Vanzetti, ma per fortuna con esiti differenti, sia grazie all'assenza della pena di morte sia grazie all'azione dei cittadini onesti.
Un testo che nel complesso, per quanto datato una decina di anni fa risulta tremendamente attuale e che, suggerendo connessioni mafiose nella morte di Calipari a Baghdad nel marzo 2005, manda un chiaro segnale alle anime ingenue che hanno spesso indicato nella criminalità organizzata lo strumento adatto per combattere il terrorismo internazionale. Al di là della fondatezza di questi sospetti, c'è poi l'ovvia domanda: chi avrebbe vantaggi a vendere loro armi?