Privacy, libertà, dissidenza

#TEDtalk di #GlennGreenwald su #privacy e #libertà
La parte che mi piace di più del TEDtalk di Glenn Greenwald è questa citazione:
La misura di quanto è libera una società non considera come tratta i suoi cittadini buoni, obbedienti, remissivi, ma come tratta i suoi dissidenti e coloro che resistono all'ortodossia.
In realtà è una conferenza interessantissima dal primo all'ultimo minuto, che vale la pena vedere e ascoltare attentamente. Alla fine c'è anche una sessione di domanda e risposte con Bruno Giussani

Vi propongo, qui sotto, la traduzione della trascrizione:
C'è tutta una sezione di video su YouTube dedicata al tipo di esperienza che sono sicuro tutti in questa stanza hanno vissuto. Stiamo parlando di quando un individuo che pensa di essere solo, si lascia andare a un comportamento espressivo -- cantare sfrenatamente, ballare vorticosamente, un momento di erotismo -- per poi scoprire che, in realtà, non è solo, che c'è una persona che lo sta osservando e spiando, scoperta che lo fa interrompere immediatamente ciò che stava facendo con una nota di orrore. La sensazione di vergogna e umiliazione è palpabile sul suo volto. È la sensazione del tipo, "Questo è il genere di cose che faccio solo quando non c'è nessuno a guardarmi."
È proprio questo il punto cruciale sul quale mi sono concentrato negli ultimi 16 mesi, il perché la privacy sia fondamentale, una questione che è emersa nell'ambito di un dibattito globale, sollecitata dalle rivelazioni di Edward Snowden secondo cui gli Stati Uniti e i suoi alleati, all'insaputa del mondo intero, hanno convertito Internet, un tempo ritenuto strumento senza precedenti di liberazione e democratizzazione, in un'area di controllo di massa indiscriminato, senza precedenti.
Un sentimento comune emerge da questo dibattito, anche tra persone che mal tollerano il controllo delle masse, ossia che non c'è nulla di male in questa invasione su vasta scala, perché solo chi è coinvolto in atti criminali ha un reale interesse a volere nascondersi e preoccuparsi della sua privacy. Questa visione si basa implicitamente sull'assunto che ci sono due tipi di persone nel mondo: i buoni e i cattivi. I cattivi sono i terroristi o i criminali di un certo spessore che hanno tutto l'interesse a nascondersi e a preoccuparsi della loro privacy. Al contrario, i buoni sono le persone che vanno al lavoro, rincasano, crescono i figli, guardano la TV. Usano Internet non per organizzare attentati ma per informarsi e scambiarsi ricette o preparare i giochi dei bambini. Queste persone non fanno niente di male, e non hanno niente da nascondere né alcuna ragione di temere il monitoraggio del governo.
Chi sostiene questa visione si impegna in un atto estremo di svalutazione di sé. In fondo quello che dice è: "Ho accettato di rendermi una persona talmente innocua e poco interessante che non temo che il governo sappia quello che faccio." Questa mentalità trova la sua più alta espressione in un'intervista del 2009 a Eric Schmidt, a lungo CEO di Google, che quando gli fu chiesto in quanti modi Google stesse violando la privacy di centinaia di milioni di utenti nel mondo, rispose con queste parole: "Se stai facendo qualcosa che non vuoi che gli altri sappiano, non dovresti farlo a priori."
Si può commentare molto questo tipo di mentalità. Innanzitutto la gente così, che dice che la privacy non è importante, non pensa ciò che dice, e questo si capisce perché mentre a parole dice che non conta, nei fatti prende ogni tipo di misura per proteggere la propria privacy. Mette la password alla posta elettronica e ai propri profili sui social, chiude a chiave la camera e la porta del bagno, tutte misure per evitare che altri entrino nel regno del privato, consapevoli di cosa non vuole che gli altri sappiano. Lo stesso Eric Schmidt, amministratore delegato di Google, ordinò ai suoi dipendenti in Google di smettere di comunicare con la rivista Internet CNET dopo che CNET aveva pubblicato un articolo pieno di dettagli personali e privati su Eric Schmidt che aveva ottenuto tramite ricerca su Google e usando altri prodotti Google. (Risate) La stessa contraddizione si vede nell'amministratore di Facebook, Mark Zuckerberg, che in una famigerata intervista del 2010 decretò che la privacy non è più "regola sociale". L'anno scorso, Mark Zuckerberg, e la sua nuova moglie hanno acquistato non solo casa nuova ma tutt'e quattro le case adiacenti a Palo Alto per un totale di 30 milioni di dollari per assicurarsi di avere una zona di privacy che impedisse ad altri di monitorare quello che fanno nella vita privata.
Negli ultimi 16 mesi, discutendo di questa questione in giro per il mondo, ogni volta che qualcuno mi ha detto, "Non mi preoccupano le invasioni della privacy perché non ho niente da nascondere." Rispondo sempre la stessa cosa. Tiro fuori una penna, scrivo il mio indirizzo email. Dico, "Ecco il mio indirizzo email. Quello che voglio che tu faccia quando arrivi a casa è mandarmi le password di tutti i tuoi account, non solo quella elegante e rispettabile che usi al lavoro, ma tutte quante, perché voglio essere in grado di scandagliare quello che fai online, leggere quello che voglio e pubblicare tutto quello che trovo interessante. Dopo tutto, se non sei una persona cattiva, se non fai niente di sbagliato, non dovresti avere niente da nascondere."
Nessuno ha accettato la mia offerta. Controllo e -- (Applausi) controllo continuamente quella email in modo scrupoloso. È completamente deserto. E c'è un motivo, ossia che noi essere umani, anche chi di noi che a parole nega l'importanza della propria privacy, istintivamente ne capisce la profonda importanza. È vero che in quanto esseri umani, siamo animali sociali. che significa che abbiamo bisogno degli altri per sapere quello che facciamo, diciamo e pensiamo, ecco perché pubblichiamo volontariamente online informazioni su di noi. Ma altrettanto essenziale al significato di essere liberi e realizzati è avere un posto dove andare e essere liberi dallo sguardo critico degli altri. C'è un motivo per cui lo ricerchiamo, e il motivo è che tutti noi -- non solo terroristi e criminali, tutti noi, abbiamo cose da nascondere. Ci sono tante cose che facciamo e pensiamo che siamo disposti a dire al nostro medico o all'avvocato o allo psicologo o al nostro compagno o al miglior amico che ci vergognerebbe gli altri sapessero. Giudichiamo tutti i giorni le cose che diciamo, pensiamo e facciamo che siamo disposti a far sapere agli altri, e le cose che diciamo, pensiamo e facciamo che non vogliamo nessuno sappia. A parole è facile pretendere di non valorizzare la privacy, ma le azioni negano l'autenticità dei pensieri.
C'è un motivo per cui la privacy è così desiderata universalmente e istintivamente. Non è solo un riflesso condizionato come respirare o bere. Il motivo è che in uno stato in cui possiamo essere monitorati, osservati, il nostro comportamento cambia drasticamente. La serie di opzioni comportamentali che consideriamo quando pensiamo di essere osservati si riduce gravemente. È un dato di fatto della natura umana riconosciuto dalle scienze sociali dalla letteratura e dalla religione e virtualmente da qualsiasi disciplina. Ci sono dozzine di studi psicologici che dimostrano che quando qualcuno sa di essere osservato, il comportamento che tiene è molto più conformista e remissivo. La vergogna umana è una motivazione molto potente, tanto quanto il desiderio di evitarla, e questa è la ragione per cui, quando viene osservata, le decisioni non sono il frutto della propria volontà ma quello delle aspettative degli altri o del mandato dell'ortodossia sociale.
Questa scoperta è stato sfruttata molto bene per fini pragmatici dal filosofo del 18° secolo Jeremy Bentham, che riuscì a risolvere un importante problema che accompagnò l'era industriale, in cui, per la prima volta, le istituzioni erano diventate così grandi e centralizzate che non erano più in grado di monitorare e quindi controllare ciascun individuo, e la soluzione prospettata era un progetto architettonico previsto inizialmente per le carceri che chiamò panottico, la cui prima caratteristica era la costruzione di un'enorme torre nel centro dell'istituzione in cui chiunque controllasse l'istituzione potesse in ogni momento guardare qualunque carcerato, senza poterli vedere tutti insieme in qualunque momento. Fondamentale per questo design era che i carcerati non potevano vedere nel panottico, nella torre, quindi non sapevano mai se venivano osservati o quando. Quello che lo entusiasmò della sua scoperta fu che significava che i prigionieri dovevano immaginare di essere guardati in qualunque momento, e sarebbe stato lo strumento definitivo di tutela dell'ordine per l'obbedienza e la disciplina. Il filosofo francese del 20° secolo Michel Foucault capì che quel modello poteva essere usato non solo per i prigionieri ma per qualunque istituzione che volesse controllare il comportamento umano: scuole, ospedali, fabbriche, posti di lavoro. Disse che la mentalità, la struttura scoperta da Bentham, era la chiave del controllo sociale per le società occidentali moderne che non avevano più bisogno della tirannia come arma dichiarata -- punire, imprigionare o uccidere i dissidenti, o costringere legalmente l'adesione a un determinato partito -- perché la sorveglianza di massa crea una prigione nella mente. È uno strumento molto più sottile, seppur molto più efficace, di promuovere l'obbedienza alle norme sociali o all'ortodossia sociale, molto più efficace di quanto possa mai essere la forza bruta.
L'opera letteraria più rappresentativa sulla sorveglianza e la privacy è il romanzo di George Orwell "1984", che impariamo tutti a scuola, e quindi ormai diventato un cliché. Di fatto, ogni volta che lo si tira fuori in un dibattito sulla sorveglianza, tutti lo rifiutano istantaneamente come non applicabile, dicendo che, "Beh, in '1984' c'erano monitor a casa della gente, veniva osservata in qualunque momento, e non ha niente a che fare con la sorveglianza di stato di oggi." È un malinteso fondamentale dell'allarme lanciato da Orwell in "1984". L'allarme che lanciava riguardava la sorveglianza di stato non quella che monitorava la gente continuamente, ma quella in cui le persone erano consapevoli di poter essere monitorate in qualunque momento. Ecco come il narratore di Orwell, Winston Smith, ha descritto il sistema di sorveglianza che affrontavano: "Ovviamente, non c'era modo di sapere se si era osservati in qualunque momento." Prosegue dicendo, "Ad ogni modo, potevano allacciarsi quando volevano. Si doveva vivere con l'abitudine che diventò istinto, dando per scontato che qualunque suono emesso veniva ascoltato e tranne con il buio ogni movimento veniva controllato."
Le religioni abramitiche ipotizzano analogamente che esiste un'autorità invisibile, onnisciente che, per la sua onniscienza, osserva sempre quello che fate, che significa che non avete mai un momento privato, la garanzia definitiva dell'obbedienza ai suoi precetti.
Quello che riconoscono queste opere apparentemente diverse, la conclusione a cui arrivano tutte, è che una società in cui le persone possono essere sorvegliate in qualunque momento è una società che produce conformità, obbedienza e sottomissione, il motivo per cui ogni tiranno, dal più dichiarato al più discreto, desidera quel sistema. Al contrario, ancora più importante, è un regno di privacy, la capacità di andare in un luogo in cui pensare, ragionare, interagire e parlare senza occhi a giudicarci, in cui risiedono esclusivamente e il dissenso, la creatività, l'esplorazione, e questo è il motivo per cui, quando permettiamo di esistere a una società in cui siamo soggetti a monitoraggio continuo, permettiamo all'essenza della libertà umana di venire gravemente indebolita.
L'ultimo punto che voglio osservare sulla mentalità, l'idea che solo le persone che fanno cose sbagliate hanno cose da nascondere e quindi motivi per preoccuparsi della privacy, è che rafforza due messaggi molto distruttivi, due lezioni distruttive, il primo è che le sole persone che si preoccupano della privacy, le uniche persone che vanno alla ricerca della privacy, sono per definizione persone cattive. Questa è una conclusione che dovremmo evitare a tutti i costi, la ragione più importante è che quando diciamo, "qualcuno che fa cose cattive," probabilmente si intende pianificare un attacco terroristico o dedicarsi a crimini violenti, una concezione molto più ristretta di quello che le persone che esercitano il potere intendono quando dicono, "fare cose cattive". Per loro, "fare cose cattive" significa di solito fare qualcosa che presenta sfide significative all'esercizio del potere.
L'altra lezione veramente distruttiva e, credo, anche molto insidiosa che proviene dall'accettare questa mentalità è un compromesso implicito che la gente che accetta questa mentalità ha accettato, e il compromesso è questo: se sei disposto a diventare abbastanza innocuo, poco minaccioso nei confronti di coloro che detengono il potere, solo allora puoi essere libero dai pericoli della sorveglianza. Solo questi sono dissidenti, che sfidano il potere, che hanno qualcosa di cui preoccuparsi. C'è ogni sorta di ragioni per cui vorremo evitare anche questa lezione. Potreste essere una persona che, proprio ora, non vuole iniziare a comportarsi in quel modo, ma a un certo punto nel futuro potreste. Anche se siete il tipo che decide che non vorrà mai, il fatto che ci siano altre persone disposte e capaci a resistere e a contrastare quel potere -- dissidenti, giornalisti, attivisti e tanti altri -- è una cosa che porta il bene comune che dovremmo preservare. Altrettanto critico è che la misura di quanto è libera una società non considera come tratta i suoi cittadini buoni, obbedienti, remissivi, ma come tratta i suoi dissidenti e coloro che resistono all'ortodossia. Ma il motivo più importante è che un sistema di sorveglianza di massa elimina la nostra libertà in molti modi. Proibisce qualunque tipo di scelta comportamentale senza che ce ne rendiamo conto. La celebre sociologa attivista Rosa Luxemburg ha detto una volta, "Chi non si muove non nota le catene." Possiamo provare a rendere le catene della sorveglianza di massa invisibili o impercettibili, ma i limiti che ci impongono non diventano meno forti.