Duomo d'onore


(via instagram)
Ogni volta che scrivo uno spettacolo butto una scaletta di corda nel burrone delle mie cose peggiori e ritorno in superficie solo qualche giorno più tardi portandomi dietro il mio odore di zolfo. Erano anni che non scrivevo di mafie al nord, da quel A 100 passi dal Duomo che mi ha circuito come una sciantosa infedele e pericolosa che una mattina mi ha fatto svegliare da solo nel letto. Sono passati anni e sembra un’era di rivoluzioni, evoluzioni e qualche involuzione che ci è scappata di mano: la politica, i libri, gli amici persi e poi ritrovati, le reti che abbiamo tirato su all'alba e hanno portato pescato bellissimo, vecchie scarpe e denti pronti a staccarti una mano. Non sarei più capace di tornare in scena con la profumata spensieratezza di quel debutto di qualche anno fa, non ho più nemmeno il pulsante per convincermi che questa storia di fili e paure sia una parentesi breve come un'avventura: torno in scena invecchiato nella botte di questi miei tempi e con un retrogusto barricato amaro di un'abitudine alla solitudine più che alla paura.
(Giulio Cavalli, Duomo d'onore)

Duomo d'onore, che ha concluso giusto ieri di andare in scena al Teatro della Cooperativa a Milano, in zona Niguarda, è in effetti una sorta di prosecuzione di A 100 passi dal Duomo, ed è, nello stile di Giulio Cavalli, che sale in scena con Guido Baldoni alla fisarmonica, strumento musicale universale che unisce l'Italia tutta, una raccolta di storie di vittime di 'ndrangheta, una di quelle cose (pessime) che la Calabria ha esportato nel mondo, che partono da Lea Garofalo (i cui resti sono stati ritrovati circa un mese fa), uccisa perché ha provato a uscirne, da quella grande e opprimente famiglia, quella 'ndrangheta da cui uscire è una sfida. Mortale.
Poi c'è chi protesta e si mette contro, senza nemmeno saperlo, perché spesso quando ci si oppone all'ingiustizia, il nemico dietro è spesso la mafia, la 'ndrangheta, la criminalità organizzata in generale. E così succede che a difendere i diritti dei lavoratori, a provare a scioperare per ottenere dei trattamenti migliori, magari a uscire fuori dal nero, si finisce pestati a morte come Nicola Padulano:
Nicola Padulano è un operaio siciliano e un gran lavoratore. Fa il sindacalista. Nel 2005 lavora per la cooperativa Ytaca. L'impresa gestisce il carico, lo scarico, il trasporto e lo stoccaggio delle merci. Il suo committente è la Sma, uno dei marchi più noti della grande distribuzione alimentare. La Ytaca è di proprietà del boss Marcello Paparo. Padulano raccoglie le proteste degli operai e organizza qualche sciopero. Il dirigente della Sma contatta Paparo: 'Eh, ma guardi che questo inizia a crearci dei problemi'.
Il boss manda un'ambasciata a Padulano facendogli sapere che se si dimette otterrà un corposo extra… Poco dopo due uomini aspettano Nicola sotto la sua abitazione. 'Padulano!' gridano. Lo massacrano di botte. Il fatto è riportato nel mattinale della Questura. Nessun giornalista lo ritiene rilevante: così a Milano un'aggressione in puro stile mafioso passa per l'ennesima volta sotto silenzio.
E poi ci sono tutte quelle vittime silenziose, quelle a cui ha dedicato un altro ampio pezzo della rappresentazione, tutte quelle persone che sono preda del gioco d'azzardo, una dipendenza ancora non riconosciuta in Italia e dalla scienza medica(1) (più o meno), o tutte quelle che lo diventano, vittime silenziose, per paura o minacce, che prima trovano il coraggio di denunciare e poi ritrattano, qualcuna negando addirittura l'evidenza delle intercettazioni.
E poi c'è il bonus finale, quello che ho ascoltato per la terza volta, ma che ogni volta mi piace riascoltare, perché Giulio Cavalli sa raccontare e sa emozionare: la storia di Bruno Caccia, del suo cane e della sua scorta, mandata in libera uscita proprio nella notte in cui lo hanno ammazzato. Il 26 giugno del 1983. A Torino. Quando ancora la mafia non esisteva nemmeno in Sicilia, dicevano i bene informati...

La cosa bella, veramente bella dello spettacolo, però, non è solo l'emozione di fronte alle storie, che danno una dimensione diversa al contare i morti, come si dice all'inizio dello spettacolo, ma quel tentativo di riderci un po' su, magari leggendo un po' di intercettazioni sgrammaticate, ma non certo per sottovalutare, ma quasi per dire:

Ecco! Non ci fate paura! Noi, uniti, insieme, combattiamo la nostra paura ridendo di voi!
(1) Quest'ultima affermazione andrebbe semplicemente corretta, visto che ad esempio la dipendenza dal gioco d'azzardo è una malattia riconosciuta e ben definita dagli psicologi statunitensi sin dagli anni Novanta del XX secolo:
Pathologic gambling is recognized and clearly defined by the American Psychiatric Association. However, many Americans suffer from an addiction to gambling that is undiagnosed and, therefore, untreated. Pathologic gambling, like any other addiction, can be devastating. Because of the personality characteristic of the pathologic gambler, detecting and diagnosing the problem is difficult. In many cases, the symptoms of gambling addiction, although distinct, are not recognized until a devastating event occurs. The older adult in particular is at great risk for addiction to gambling. Health care providers must be aware of the warning signs and symptoms of addiction to gambling and be ready to provide information that will assist their clients in addressing it. Unfortunately, few programs exist in this country to treat the many people suffering from this addiction. With the current movement to legalize gambling and the increasing popularity of lotteries in many states, the problem of pathologic gambling is sure to escalate.(2)
ed è stata anche accostata alle dipendenze più classiche:
By analogy to drug dependence, it has been speculated that the underlying pathology in pathological gambling is a reduction in the sensitivity of the reward system. Studying pathological gamblers and controls during a guessing game using functional magnetic resonance imaging, we observed a reduction of ventral striatal and ventromedial prefrontal activation in the pathological gamblers that was negatively correlated with gambling severity, linking hypoactivation of these areas to disease severity.(3)
(2) GLAZER A. (1998). Pathologic Gambling, The Nurse Practitioner, 23 (9) 74???86. DOI:
(3) Reuter J., Raedler T., Rose M., Hand I., Gläscher J. & Büchel C. (2005). Pathological gambling is linked to reduced activation of the mesolimbic reward system, Nature Neuroscience, 8 (2) 147-148. DOI: (pdf)